Che il partito nato dalla confluenza tra il PDS e la Margherita non goda di buona salute credo non possa essere smentito da alcuno. La gracile creatura nata al Lingotto, che ha da poco compiuto i sei anni, ha cessato lo sviluppo ad appena due con le dimissioni del suo primo segretario e si è trasformata in una confederazione di capetticorrente più o meno gattopardeschi del tutto distaccata dalla base e dalla realtà. Lo dimostrano alla perfezione la sufficienza con la quale sono stati trattati i 24,5 milioni di potenziali elettori che votarono sì al referendum sull’acqua, il dissanguamento dell’eccessivo prolungarsi del governo Monti e la reazione degli iscritti al metodo, non alla persona, col quale si è decisa la candidatura Marini. Ora tre medici si propongono al suo capezzale ciascuno con la sua ricetta. Matteo Renzi dice che, se le cose non vanno bisogna metterle in mano ad un grande innovatore, lui stesso. Non risulta, però, che dove ha amministrato la cosa pubblica abbia portato alcuna innovazione, come dimostrano i casi Florence Multimedia, la sanzione della Corte dei Conti, le assunzioni di fidi senza concorso, le dimissioni dell’assessore al bilancio causa gravi divergenze sull’uso del danaro pubblico, il prepensionamento di dirigenti riassunti poi a contratto. Il fatto che piaccia tanto ai mass media è inspiegabile, o, forse, anche troppo spiegabile. Gianni Cuperlo, al contrario, dice che occorre allargare la democrazia interna e la base della platea che forme le decisioni. La cosa, peraltro, è già largamente prevista dallo statuto ma mai è stata applicata per il veto dei capetti. Ma se non si indagano e si rimuovono le cause delle disfunzioni è inutile fare appello ai buoni proponimenti, quelle cause riproporranno inevitabilmente gli stessi effetti. Cuperlo, al di là delle sue eccellenti doti personali, appare prigioniero di questa contraddizione, come i continui endorsement dei capetti lasciano facilmente intendere, inoltre non risultano sue prese di posizione sui micidiali errori di cui sopra. Resta Pippo Civati, under 40, un bambino per gli usi e costumi politici di casa nostra. Eppure il bimbo ha dimostrato lungimiranza, coraggio e coerenza, dichiarandosi contrario ad un governo Monti di legislatura, alle candidature alla presidenza della Repubblica presentate senza neppure avvisare gli alleati di lista, al tentativo di far passare il governo Letta, di scopo e a termine, per il governo delle grandi intese. Civati è anche l’unico che ha come obiettivo di ricostituire un rapporto di fiducia con Romano Prodi dopo il vile comportamento dei 101 di cui nessuno degli altri parla più per non perderne l’appoggio. Basta ed avanza per fare la scelta giusta, d’altronde solo il sangue giovane porta bene l’ossigeno a tutto il corpo….
Paolo Serra – Bologna