BOLOGNA E DINTORNI luglio 2017 Andrea De Pasquale

Stazione-Bologna-Zanolini-Fulvio-De-NigrisIl quadro delle infrastrutture a Bologna. Passante e SFM. Un clamoroso errore senza responsabili.

1) INFRASTRUTTURE DI MOBILITA’ A BOLOGNA: IL PUNTO DELLA SITUAZIONE.

1.1  – Nuovo Casello Valsamoggia
1.2  – Passante autostradale
1.3  – Anarchia ciclabile
1.4  – Aeroporto caotico

2) SFM PARTE PRIMA: L’INTERRAMENTO A BINARIO UNICO: LA SCUSA DEI FONDI CHE SI PERDONO, E UN PROGETTO CHE LI HA GIA’ PERSI ED E’ FERMO DA 6 ANNI.

3) SFM PARTE SECONDA: UN ERRORE CLAMOROSO CHE NON PUO’ RESTARE SENZA RESPONSABILI.

———————-

1) INFRASTRUTTURE DI MOBILITA’ A BOLOGNA: IL PUNTO DELLA SITUAZIONE.

Per cominciare, una veloce carrellata di quanto è accaduto di recente.

1.1 – Nuovo Casello Valsamoggia.

Aperto lo scorso novembre, il nuovo accesso all’autostrada in prossimità di Crespellano è indubbiamente un guadagno per il nostro territorio, perché va a servire una zona fortemente insediata, come abitanti e come attività economiche, prima costretti a passare da Casalecchio oppure da Modena Sud. E anche perché va a incrementare la dotazione di caselli (preziosi punti di interscambio tra viabilità locale e autostradale) dell’area metropolitana bolognese, già piuttosto ricca: 5 accessi a ridosso del capoluogo, da S. Lazzaro a Casalecchio; poi Castel San Pietro e Imola sulla A14; Interporto e Altedo sulla A13; Valsamoggia, Sasso Marconi, Rioveggio, Pian del Voglio e Roncobilaccio sulla A1; per un totale di 14. Tutto a posto quindi? Non ancora. Perché se la viabilità dal nuovo casello Valsamoggia verso nord (direzione Anzola – Ponte Samoggia, dove non a caso sorge il nuovo stabilimento Philip Morris) sembra efficacemente risolta (con un asse continuo, grazie anche a due nuovi sottopassi, e due nuove rotonde), quella verso sud (direzione Crespellano) risulta ad oggi tronca e mal segnalata – ne ho fatto io stesso esperienza diretta – in attesa del completamento della Nuova Bazzanese. Bisogna che in proposito l’attenzione della politica locale non venga meno.

1.2 – Passante autostradale.

Proviamo a ripassare la situazione, per sommi capi. A settembre 2016 viene avviato un confronto pubblico sul progetto di Passante, inteso come potenziamento in sede del sistema complanare “Autostrada + Tangenziale”. Questo confronto pubblico sfocia in una serie di richieste e prescrizioni che prima i Quartieri, poi il Comune di Bologna portano al confronto con Autostrade, tra ottobre e novembre 2016. A metà dicembre viene firmato l’accordo sul progetto definitivo di Passante, nel quale Autostrade recepisce alcune richieste del territorio (le più importanti sono: nuova uscita della Tangenziale al Lazzaretto, copertura antirumore in zona Croce del Biacco, passerella ciclabile a Croce Coperta, nuovo ponte sul Reno a Borgo Panigale, parziale chiusura dell’uscita 9 della Tangenziale).

A gennaio viene ufficialmente aperta la VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) presso il Ministero, e partono i 60 giorni entro i quali possono essere presentate al Ministero le osservazioni sul progetto.

I primi di marzo 2017 ARPAE e AUSL, intervenuti in una Commissione comunale, suggeriscono di chiedere approfondimenti sul rischio ambientale e sanitario. Che il Comune fa propri, con la serie di richieste i integrazioni inviate a metà marzo.

La Città Metropolitana osserva che il verde di mitigazione previsto nell’Accordo (130 ettari) deve essere inteso come aggiuntivo a quello attuale, anche a costo di espropri, mentre il progetto di Autostrade è orientato ad una “forestazione intensiva” del verde pubblico già esistente, circa 90 ettari, facendo così mancare l’obiettivo di dotare la città di nuove aree verdi.

Sempre in marzo è l’Aeroporto a obiettare, rispetto al progetto definitivo, che le modifiche previste sullo svincolo 4 (di cui verrebbe chiuso un braccio, facendolo confluire sul contiguo 4bis) peggiorano l’accessibilità allo scalo, e rilancia chiedendo che sia mantenuto il doppio svincolo e sia previsto un casello autostradale apposito dedicato all’aeroporto.

In aprile è la Fiera a obiettare come il progetto di Passante, così come configurato, pone problemi di traffico e di parcheggio in occasione di grandi manifestazioni, e chiede di rimettere mano al casello autostradale della Fiera e alla viabilità intorno.

Infine a maggio è lo stesso Ministero dell’Ambiente, attraverso la Commissione Tecnica di verifica dell’impatto ambientale, che pone ad Autostrade una lunga serie di richieste di integrazione, tra cui alcune sul piano di cantierizzazione e sui rumori, soprattutto notturni, in fase di realizzazione.

A fine giugno (quindi poche settimane fa) Autostrade presenta il progetto completo delle integrazioni richieste dai vari enti. Si tratta di 277 documenti, tra planimetrie, tavole, elaborati e relazioni, ciascuno di centinaia di pagine. Un malloppo di lunga e difficile digestione, reperibile sul sito della Regione, sul quale gli uffici tecnici degli enti locali stanno suppongo lavorando (non li invidio).

Al termine di questo esame, a quanto ho capito, dovrà essere dato un parere finale alla Regione, che riassumerà le ultime osservazioni degli enti territoriali e le presenterà al Ministero, titolare della procedura di VIA (Valutazione di Impatto Ambientale), quella avviata a gennaio e dentro la quale si collocano tutti i passaggi sopra elencati.

Alla fine di questo ripasso procedurale, mi pare che i punti salienti che restano sul campo siano gli stessi a suo tempo individuati dai Quartieri, ovvero (in sintesi):

– Costante monitoraggio della qualità dell’aria e del rumore, sia in fase di cantiere che di esercizio.
– Utilizzo di asfalti fonoassorbenti ed estensione di barriere acustiche di qualità.
– Laddove sono previste gallerie, dotarle anche di impianti di aspirazione e filtraggio di fumi e polveri.
– Miglioramento dei percorsi e aumento delle ricuciture urbane (piuttosto carenti nel progetto originario)
– Realizzazione di tutto il verde previsto, non limitandosi alle aree pubbliche.

Per il resto, non bisogna illudersi: finché esiste una mobilità di massa (che tutti vogliamo), e finché i mezzi avranno motori a combustione interna (che tutti usiamo), bilanciare l’obiettivo di una mobilità efficiente con quello di una buona qualità dell’aria sarà difficile. L’arrivo sul mercato di veicoli elettrici ci fa sperare in un futuro prossimo nel quale abitare vicino a grandi assi stradali non significhi respirare troppi inquinanti.

A conclusione, credo utile segnalare l’eccessiva approssimazione (e talvolta gli errori pacchiani) nei quali ho visto cadere ripetutamente autorevoli voci del mondo economico e gli stessi giornali cittadini a proposito del Passante.

Uno di questi errori riguarda l’ipotesi già citata di parziale chiusura dell’uscita 9 della tangenziale (quella che sbocca sulla via San Donato in prossimità della chiesa di san Donnino), sulla quale si sono levate grida scomposte e lette varie amenità: ad esempio che tale chiusura peggiora l’accessibilità a FICO, danneggia il commercio di vicinato, e che l’uscita più vicina (8 bis) sarebbe “ad alcuni chilometri” di distanza.

Ora, tutto si può criticare, ma è meglio farlo conoscendo i fatti (e tenendo sott’occhio una cartina della zona).

La chiusura parziale dell’uscita 9 (solo per chi proviene da Casalecchio, in direzione San Lazzaro, e si immette sulla San Donato da nord) non era nel progetto del Passante: è stata inserita in quello di dicembre dopo che diversi cittadini di San Donato, nel confronto pubblico di fine 2016, ne hanno fatto richiesta (ricordo io stesso alcuni interventi in tal senso in uno degli incontri pubblici sul territorio). È stata recepita per venire incontro ai residenti, e anche – a mio giudizio – perché oggi, a differenza degli anni ’60 (data di realizzazione della tangenziale), si preferisce separare il traffico di attraversamento (veloce, incanalato) da quello di penetrazione in una zona residenziale (lento, capillare), quale indubbiamente è quella intorno a San Donnino.

Quanto alle preoccupazioni per FICO, l’uscita 8bis non è a pochi chilometri, bensì a 500 metri dalla 9; sbocca su viale Europa, che è collegato direttamente alla stessa rotonda di accesso al Meraville dove arriva pure la via San Donato, la quale però conta, dalla tangenziale alla rotonda, ben 5 semafori, mentre viale Europa solo 2. Tanto che già oggi chi deve andare da Bologna verso il Meraville preferisce largamente viale Europa (arteria di scorrimento veloce, a 3 corsie) rispetto a via San Donato (più stretta, più lenta, e di servizio alle abitazioni circostanti). Inoltre in prospettiva la viabilità definitiva per FICO prevede addirittura di servirsi dell’uscita 12, prendendo a nord la Lungosavena, proseguendo lungo il tratto oggi mancante (a scavalco della san Vitale), innestandosi sul nuovo asse già esistente fino alla rotonda Santilli (anch’essa già pronta) e da lì arrivare a destinazione – di fatto – su una superstrada dedicata, che non interferisce con la viabilità di quartiere.

Quanto ai timori per il piccolo commercio locale, dubito che una panetteria su via San Donato conti, per il proprio fatturato, sugli utenti della tangenziale che oggi escono all’uscita 9 (e che non hanno alcun modo di sostare). Avendo vissuto in zona, ed avendo conoscenze che ci vivono, credo di poter affermare che sono soprattutto i residenti a sostenere quel commercio. E che potrebbero farlo ancora meglio togliendo dalla loro strada il flusso di veicoli in transito dalla tangenziale.

Ma di tutto questo non ho visto nulla sui giornali cittadini. Forse perché sono distratto? Forse perché non riesco a leggerli tutti i giorni? O forse perché, qualsiasi cosa viene dichiarata da chiunque, manca regolarmente una verifica di attendibilità? Perché posso capire sia difficile su temi complessi: ma che la distanza tra due uscite sia di chilometri o di centinaia di metri, questo può verificarlo chiunque, su Internet, in 3 minuti.

1.3 – Anarchia ciclabile

Vi sono poi alcune questioni più piccole, ma ugualmente rilevanti per il vissuto quotidiano di una città. Tra queste ci metto il tema della disciplina (o dell’anarchia) della mobilità ciclabile. Ovvero gli episodi, sempre più frequenti, di biciclette che sfrecciano sui marciapiedi e sotto i portici, senza rispetto per i pedoni (in particolare per quelli hanno la malaugurata idea di uscire da un portone o un cancello). Oppure quelli (meno avvertiti nella stagione estiva, con più ore di luce) che vedono ciclisti girare col buio senza fanali, spesso contromano.

Questi comportamenti costituiscono un pericolo reale per chi li attua e per chi li incontra, ma non mi risulta siano in alcun modo disincentivati. Non ho notizia di sanzioni elevate contro questi usi impropri degli spazi urbani, né di campagne “educative” in proposito. Ma se vogliamo (e giustamente) incentivare la mobilità sostenibile, quindi aumentiamo (anche qui giustamente) le piste ciclabili, dobbiamo anche arginare le condotte pericolose, senza far passare il messaggio che, montando una bici (e non avendo quindi targa), tutto si può fare, senza rispondere di nulla.

1.4 – Aeroporto caotico

Altro tema rilevante è quello dell’aeroporto, che frequento poco come utente, ma parecchio come accompagnatore. L’impressione, nonostante i tanti milioni spesi per il restyling, è che qualcosa non stia funzionando. Permane infatti uno stato di congestione e di caos permanente, sia a livello di automobili (il punto di carico-scarico passeggeri è ormai diventato la rotonda antistante l’aerostazione, dato che l’accesso al “kiss and ride” è tortuoso e sottoposto alla minaccia dei soli 10 minuti di gratuità), sia di passeggeri (le code dentro l’aerostazione sono diventate insostenibili, anche perché l’organizzazione degli spazi interni è tutta orientata a ottimizzare lo sfruttamento commerciale, non i flussi degli utenti aeroportuali). Di questo dovremo occuparci in una prossima newsletter.

2) SFM PARTE PRIMA – L’INTERRAMENTO A BINARIO UNICO: LA SCUSA DEI FONDI CHE SI PERDONO, E UN PROGETTO CHE LI HA GIA’ PERSI ED E’ FERMO DA 6 ANNI.

Torniamo a parlare del Servizio Ferroviario Metropolitano, quella infrastruttura che con 8 linee, 150 fermate eccetera eccetera dovrebbe, a regime, dare un contributo essenziale a permettere ai cittadini metropolitani bolognesi di muoversi sulle radiali in modo veloce, sostenibile e possibilmente anche comodo. Spostando dalla gomma al ferro migliaia di tragitti quotidiani, col risultato di liberare le strade e migliorare la qualità dell’aria. Ma “a regime” significa quando finalmente saranno attuati tutti gli accordi, i piani e le promesse che da 25 anni affollano i tavoli di tutte le istituzioni e le conferenze programmatiche. E che spesso invece vengono disattesi. Per funzionare appieno infatti l’SFM ha bisogno di una serie di interventi di completamento (linee passanti, tratte di raddoppio per l’incrocio dinamico, banchine più lunghe alle fermate per poter aggiungere allungare i convogli, orari cadenzati, servizi potenziati nelle ore di punta, eccetera) che trasformino una parola di tre lettere da progetto a realtà funzionante e affidabile.E invece, in alcuni casi, le scelte che si vanno facendo si discostano radicalmente dagli obiettivi dichiarati negli accordi sottoscritti a più riprese. Uno di questi casi è appunto la famosa e annosa vicenda dell’interramento a binario unico del tratto urbano della linea Bologna – Portomaggiore (SFM 2). Che proviamo a ripassare velocemente.

Il progetto di interramento a canna unica della linea in questione, da via Paolo Fabbri a via Larga, è del 2011. In marzo 2012 insieme ad amici urbanisti e trasportisti scrivo l’appello SFM 2012 ULTIMA CHIAMATA che richiama la necessità di non strozzare la linea con scelte miopi e raccoglie 600 firme sulla proposta di predisporre lo spazio per un secondo binario. La risposta che ci viene data non è che la proposta è sbagliata, ma che non c’è tempo, perché modificare il progetto comporterebbe la perdita dei finanziamenti in quanto i cantieri sono pronti partire già entro pochi mesi. Cosa che invece non accade, tanto che si arriva – sempre con il progetto a canna unica – a ottobre 2016 quando la Corte dei Conti boccia il piano di finanziamento, che quindi va ripresentato.

La regione (con l’assessore Raffaele Donini), alla luce dei dati presentati da FER in giugno 2016 rispetto allo stato di saturazione di quella linea ferroviaria (una delle più frequentate, con oltre 5.000 utenti al giorno) aveva nel frattempo aperto ad una revisione del progetto e risposto positivamente all’ennesimo appello scritto dal nostro gruppo, nel luglio 2016, commissionando un’indagine tecnica sul possibile raddoppio. Indagine al termine della quale emerge la notizia per cui un palazzo di nuova edificazione (anno 2006 se non sbaglio) è stato costruito proprio sul sedime ferroviario che avrebbe dovuto essere lasciato libero per l’eventuale raddoppio nel punto in cui la linea esce dalla Stazione Zanolini.

Una notizia abnorme, di cui parliamo al punto successivo. Ma che – lo segnalo per opportuna precisione – riguarda il tratto già interrato da anni, non il progetto di “nuovo interramento” di cui stiamo discutendo (da via Libia a via Rimesse e poi via Larga).

Ma torniamo appunto al nuovo interramento. Nelle scorse settimane il consigliere regionale Giuseppe Paruolo presenta una interrogazione all’assessore regionale Donini sugli effetti della permanenza del binario unico rispetto al cadenzamento, e sui costi di un’eventuale predisposizione per il secondo binario. Donini quantifica in circa 8 milioni di Euro aggiuntivi (rispetto ai 40 comunque necessari per l’interramento a canna unica) l’extra costo, ma soprattutto dice che è allo studio il raddoppio della linea di un tratto più periferico, quello tra Roveri e Budrio, dal quale potrebbe venire un miglioramento della frequenza dagli attuali 30 a 20 minuti.

La notizia della disponibilità della Regione a valutare (e nel caso finanziare) il raddoppio nel tratto Roveri – Budrio è certamente positiva. Resta il fatto che nella relazione di FER di giugno 2016 sull’impegno della capacità il tratto critico, ovvero oltre saturazione (sopra il 110%) è proprio il tratto Bologna – Roveri, non quello Roveri – Budrio.

Alla considerazione di Paruolo sull’opportunità di estendere il raddoppio al tratto critico, quello destinato all’interramento, ha reagito rabbiosamente il capogruppo Pd in Comune, Claudio Mazzanti. Che ha dichiarato (alla stampa e su Facebook) “Avanti con il progetto deliberato senza ulteriori ritardi e senza far saltare i fondi. Ormai siamo ad un punto tale che tornare indietro vuole dire che si rischia di fare saltare tutto il blocco dei finanziamenti PIMBO, quindi tutto l’Sfm”. E come lui altri colleghi, convinti che sia tutto pronto: progetto approvato, cantieri pronti a partire, se non fosse per i “perditempo come te” (sempre Mazzanti, con la solita grazia, al mio riguardo).

Ora invece le cose stanno ben diversamente. Il Progetto Integrato della Mobilità Bolognese denominato PIMBO, dopo la bocciatura del 2016, deve ancora essere presentato – come conferma Donini nella sua risposta – “al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ai fini dell’approvazione conclusiva da parte del CIPE e della relativa assegnazione delle risorse statali per la sua realizzazione”.

Quindi, a dispetto della convinzione di Mazzanti (che sul punto è stranamente agitato, quasi si giocasse qui la vita o peggio la casa, e parla e scrive come se il progetto di interramento fosse già stato approvato dal CIPE) al CIPE questo progetto deve ancora essere portato. Questo perché, dopo che la richiesta di finanziamento relativa al progetto PIMBO (circa 240 milioni di euro) era effettivamente stata approvata dal CIPE a maggio 2016 (ma senza il progetto di interramento), tale richiesta era poi stata bocciata dalla Corte dei Conti nell’ottobre dello stesso anno, come abbiamo detto, a motivo del fatto che prevedeva di impiegare per l’acquisto di treni fondi destinati invece a interventi infrastrutturali (da cui l’idea di usarli per l’interramento, ripresentando nuova richiesta al CIPE).

Tre considerazioni in proposito.

1) Il ritornello per cui il progetto di interramento non è modificabile perché non c’è tempo e perché altrimenti si perdono i soldi non è più credibile. Un po’ come i saldi di una famosa azienda di divani, il cui slogan “termina domenica” ci ha tempestato per anni. E’ difficile accettare oggi, nel 2017, la stessa argomentazione del 2012, ovvero che questa è la volta buona per aprire i cantieri, e che ridiscutere il progetto farebbe saltare tutto. Lo avete già detto 5 anni fa, e si è visto che non era vero. Volete raccontarla anche stavolta?

2) Bisognerà prima o poi spiegare ai cittadini della zona San Vitale che se l’eliminazione dei passaggi a livello è ancora ferma al palo (da 6 anni) non è per colpa di quanti – come me – sollecitano la predisposizione del raddoppio, ma della testarda insistenza su un progetto debole e approssimativo, che dal 2012 inciampa sulla propria fragilità. E delle balle raccontate da che chi ancora dice e scrive che il progetto è approvato e pronto a partire.

3) Per ridurre il traffico e l’inquinamento sull’asse Massarenti non basta togliere i passaggi a livello, ma bisogna offrire a chi vive o lavora intorno alla radiale San Vitale (Villanova, Castenaso, Budrio, Molinella) un’alternativa all’auto privata. Alternativa che fin dai primi anni ’90 è stata individuata (in tutti i documenti di pianificazione, in tutti i manifesti politici prodotti a Bologna nell’ultimo quarto di secolo) giustappunto nel famoso SFM. Che secondo gli accordi doveva raggiungere, nelle ore di punta, il cadenzamento al quarto d’ora. Ma come scrive Donini nella sua risposta a Paruolo, il cadenzamento massimo attuale di questa linea, col binario unico, non potrà andare oltre i 30 minuti. Avere un treno ogni quarto d’ora (anziché mezz’ora) non significa solo raddoppiare la capacità, ma anche avvicinarsi ad una soglia di frequenza che permette agli utenti di disinteressarsi dell’orario, potendo contare sul fatto che al massimo si dovranno aspettare pochi minuti per il convoglio successivo. Il che costituisce un enorme incentivo all’utilizzo. Ma per questo occorre appunto dare ai treni possibilità di incrocio dinamico (ovvero con tratte di raddoppio), senza tenerli fermi in stazione in attesa che arrivi quello opposto.

3) SFM PARTE SECONDA: UN ERRORE CLAMOROSO CHE NON PUO’ RESTARE SENZA RESPONSABILI.

Il Resto del Carlino del 22 Aprile 2017 ha dato notizia del fatto che la linea ferroviaria Bologna-Portomaggiore non può essere raddoppiata nel punto chiave dell’uscita dalla stazione interrata di via Zanolini, a causa di un palazzo di recente costruzione le cui fondamenta interferiscono con il sedime ferroviario. Il dato viene riferito dall’assessore regionale Raffaele Donini nella Commissione comunale del giorno prima, alla quale ero presente tra il pubblico.

Siccome da anni seguo la vicenda, la cosa mi ha particolarmente colpito. E mi ha spinto a fare un’indagine tra le carte e i documenti raccolti tra i 1999 e il 2009, durante la mia esperienza amministrativa prima in Quartiere San Vitale poi in Provincia.

Il comparto dell’ex Stazione Veneta di via Zanolini è un progetto urbanistico che risale al 1996, che aveva ad oggetto la riqualificazione di un’area dismessa e che fin dall’inizio è stata accompagnata da raccomandazioni e prescrizioni relative alla preservazione della possibilità di raddoppiare il binario, dato che la linea interessata è uno dei bracci portanti del SFM (e anche dei più frequentati, con circa 5000 utenti al giorno).

Dato che alcuni colleghi – tra cui il già citato capogruppo Pd in Consiglio Comunale, Claudio Mazzanti, su Facebook  – mi accusano di inventare panzane per ingannare i cittadini, cito le fonti, a costi di dilungarmi un po’ (mi scuso con voi lettori).

La prima fonte è una lettera del 19 settembre 1996 a firma dell’architetto Fioretta Gualdi, coordinatore del Nodo Ferroviario di Bologna, dove si legge “Visto il progetto pervenuto in data 18 luglio 1996… così come presentato non consente in futuro alcuna possibilità di raddoppio della linea, pertanto è necessario che si preveda la sede per l’eventuale futuro raddoppio e la possibilità reale di successiva realizzazione evitando per quanto possibile false spese“.

Altre fonti sono le Tavole del Ministero dei Trasporti del 30 settembre 1996 con evidenziata “la parte di interrato da demolire in caso di futuro raddoppio della linea ferroviaria Bo-Portomaggiore“. E la lettera del 23 dicembre 1996 dal Settore Ambiente del Comune di Bologna all’assessore alla Casa nel quale si parla della procedura Valsia sul piano particolareggiato Ferrovia Veneta, nel quale al secondo punto del capitolo “Approfondimenti e indicazioni per il progetto esecutivo” si legge “nel piano particolareggiato le cantine dei fabbricati ad “elle” lungo via Zanolini vanno a interessare il sedime del previsto raddoppio: vanno riviste le tipologie in modo da lasciare aperta questa possibilità“. Poi ancora la planimetria del piano interrato contenuta nel piano particolareggiato datato dicembre 1998. Tutto questo si scriveva al momento della pianificazione.

Ma veniamo a quello dell’esecuzione, ovvero della costruzione materiale degli edifici. Nella lettera del comune di Bologna datata 26 luglio 2005, (mittente Area Urbanistica Ambiente Mobilità, Settore Mobilità Urbana, destinatario l’Ufficio Strumenti Preventivi e Attuazione) avente ad oggetto “futuro raddoppio della tratta interrata stazione San Vitale ex Veneta“, viene citato il rapporto finale di VALSIA – Piano Particolareggiato riportando fedelmente il testo: “nel piano particolareggiato le cantine dei fabbricati ad elle lungo via Zanolini vanno ad interessare il sedime del previsto raddoppio: vanno riviste le tipologie in modo da lasciare aperta questa possibilità“.

La prescrizione VALSIA sul futuro raddoppio è oggetto anche del verbale di un incontro avvenuto il 6 settembre 2005 rispetto al possibile futuro raddoppio della ferrovia, ove leggiamo “vi è una prescrizione della Valsia di tutela del sedime ferroviario per un futuro raddoppio della ferrovia (da lato sud dell’attuale binario), che il Comune dovrà far rispettare in fase di progettazione esecutiva dei fabbricati non solo relativamente al piano interrato, ma anche rispetto ai piani fuori terra” (vedasi lettera del 26 luglio 2005 sopra citata).

La raccomandazione viene ripetuta in una lettera dell’assessore Giacomo Venturi al Comune di Bologna del 23 novembre del 2005, che ottiene una risposta dal Comune di Bologna.

La risposta consiste in una lettera datata 27 dicembre 2005 e firmata da Virginio Merola, che ha come oggetto “Previsioni del Piano Particolareggiato del comparto R5.8B, ZIS Ferrovia Veneta e salvaguardia delle possibili esigenze di futuro raddoppio della ferrovia Bologna Portomaggiore“. In essa si legge testualmente: “con riferimento alla tua lettera del 23 novembre, sono con la presente a rassicurarti relativamente alle intenzioni di questa Amministrazione rispetto alla tutela del tracciato ferroviario e dei suoi possibili sviluppi, nella zona della stazione Bologna San Vitale. Le domande di permesso di costruire presentate dai futuri attuatori del comparto nei giorni scorsi rispettano appieno le prescrizione impartite in sede di VALSIA, dal momento dell’approvazione del piano particolareggiato, volte appunto a tutelare la possibile estensione della parte interrata della ferrovia. L’edificio più vicino al tracciato ferroviario è stato infatti progettato in modo che né il suo piano interrato né le strutture di fondazione possano creare alcun intralcio alla eventuale utilizzazione in sotterraneo della superficie sottostante. Infatti, sia che si intenda, in un futuro, procedere all’allargamento della struttura interrata per un raddoppio del tracciato ferroviario … la parte interrata dell’edificio residenziale non interferirà con le soluzioni che si possono ad oggi pensare ragionevolmente realizzabili.

Aggiunge la lettera: “Va da sè che se, in fase di approvazione del piano particolareggiato, si arretrava il volume interrato destinato a cantine, allo scopo di garantire il futuro raddoppio della linea“.

Non so quanto il firmatario Merola ci abbia messo di suo e quanto sia stato mal consigliato dalla struttura tecnica. Resta il fatto che mentre il Comune rassicurava, il palazzo veniva costruito in totale spregio a quelle stesse rassicurazioni.

Fin qui i documenti. Ora la mia esperienza personale, prima come coordinatore della Commissione Mobilità del Quartiere San Vitale (1999-2004), poi Presidente della medesima Commissione in Provincia (2004-2009).

Dal quartiere ci occupammo del progetto di interramento in relazione a quello di elettrificazione della linea. Ricordo che già allora si parlava della necessità di preservare il sedime ferroviario per un eventuale futuro raddoppio del binario.

E pure in provincia, ricordo il sopralluogo di luglio 2005 (nel quale già emergeva la necessità di incrocio, quindi di tratte di raddoppio), poi la seduta di commissione del 23 novembre 2005 (in provincia) e del 2 dicembre (in comune) nel quale io ribadisco, come presidente, la necessità del rispetto richiamato nelle prescrizioni del ’96.

Anche qui proviamo a trarre qualche conclusione.

1) Il raddoppio della linea in quel tratto non è un’idea peregrina venuta in mente a idealisti o rompiscatole come il sottoscritto, ma era evidentemente una possibilità strategica messa in conto fin dagli anni ’90 dall’azienda che esercitava il servizio ferroviario e dalle stesse istituzioni locali.

2) La volontà politica di lasciare aperta per il futuro la possibilità di un raddoppio della linea proprio in quella tratta, espressa fin dal 1996 (ovvero 20 anni prima della relazione FER sulla saturazione proprio della stessa tratta) non poteva essere dichiarata, confermata e protocollata in modo più chiaro, nel corso degli anni. Eppure anche questo non è bastato. Tanto che il palazzo è stato costruito in modo da impedire il raddoppio, calpestando prescrizioni e raccomandazioni ampiamente espresse e formalmente recepite.

3) Il Comune di Bologna ha commesso un errore molto grave. Che l’abbia fatto autorizzando un progetto sbagliato, o non controllando l’esecuzione dello stesso, fa poca differenza. Quello che conta, e che risulta inaccettabile, e che qui il Comune è venuto due volte meno al proprio ruolo: una prima volta, omettendo di esercitare il potere di autorizzazione e/o il dovere di vigilanza, a prescindere dalle richieste di altri enti. Una seconda volta, quando ha mentito alle altre istituzioni, rassicurandole nero su bianco che i progetti “rispettano appieno le prescrizioni”. Se ad oggi presso il Comune di Bologna esiste un minimo di orgoglio professionale e rispetto istituzionale, un errore di queste proporzioni non può restare senza responsabili. Perché diversamente vorrebbe dire che chiunque, nello stesso Comune di Bologna, può mentire oppure fare il contrario di quello che dovrebbe, senza pagare alcuna conseguenza.

Avrei diverse cose da osservare anche sui fatti degli ultimi giorni (come le nomine in Fiera, dove tutto sembra interessare fuorché il funzionamento del nostro Ente, e il congresso del PD, dove le etichette “renziani” e “non renziani” continuano ad essere usate a sproposito, avendo completamente perso di significato). Ma sono già stato molto lungo – anzi di questo mi scuso anche stavolta – e penso sia meglio chiudere qui. Ci torneremo sopra.

Per ora grazie a chi ha avuto la pazienda di leggere sin qui. Da domani mi prendo qualche giorno di vacanza (e di distanza da Bologna). Buona estate a tutti, e alla prossima.

Andrea De Pasquale

www.andreadepasquale.it

Condividi:

ECODEM EMILIA-ROMAGNA PER UNA REGIONE GREEN 2015 – 2019

Polveri fini sulla Pianura Padana

Polveri fini sulla Pianura Padana

Le azioni seguenti sono immediatamente perseguibili a livello regionale e oltre a migliorare le condizioni ambientali particolarmente critiche a causa di un’elevata antropizzazione e delle caratteristiche geografiche costituiscono delle opportunità per creare nuovi posti di lavoro all’interno di un percorso verso una società green.

 

1) Energie rinnovabili e efficienza energetica

Verificare il raggiungimento degli obiettivi del Piano Energetico Regionale, chiarendo in quale misura essi sono stati effettivamente attuati, e definendo in tal modo un quadro della situazione presente. A partire da essa, promuovere un aggiornamento del Piano stesso che aiuti a migliorare il percorso per una maggiore efficienza, il risparmio, e le fonti energetiche pulite. Per far questo riteniamo utile un coinvolgimento delle realtà locali e dei Comuni. Riteniamo inoltre necessaria una più equa calibrazione delle diverse fonti rinnovabili, legandola alle caratteristiche antropiche e naturali del territorio”

I piani energetici devono portare alla costituzione di “Comunità Solari Locali” (le cui sperimentazioni sono in corso in varie forme sul nostro territorio) caratterizzate dalla realizzazione di un sistema integrato di gestione dell’energia rappresentato da impianti di interesse collettivo per la produzione di energia da fonti rinnovabili (piattaforme solari fotovoltaiche, impianti fotovoltaici, impianti solari termici e impianti geotermici ubicati su edifici pubblici), impianti di riscaldamento di interesse collettivo ad alta efficienza ed interventi di miglioramento della efficienza energetica della illuminazione pubblica. Promuovere in modo deciso il solare e tutte le forme di produzione energetica decentrata. Pensiamo che sia importante prevedere l’adesione di tutte le Amministrazioni locali al Patto dei sindaci, che comporta la redazione dei PAES, lo strumento di programmazione energetica degli enti locali.

Vanno sostenute e incentivate su questa strada i gruppi di acquisto solidale per l’energia che hanno l’obiettivo attraverso forme di solidarietà fra i componenti di promuovere il risparmio e l’efficienza come principali fonti rinnovabili, l’acquisto di energia elettrica verde certificata e la promozione dell’autoproduzione da parte di singoli e territori.

 

2) I rifiuti e la gestione delle risorse

La proposta degli Ecologisti del Pd  è quella di superare l’approccio volto esclusivamente alla gestione dei rifiuti, ma inserire questo tema all’interno di una logica di sviluppo dell’economia verde , di opportunità per le nostre imprese. Partendo innanzitutto nel produrre meno rifiuti sia attraverso un approccio di “hardware” costruendo prodotti diversi, con meno imballaggi e con design adeguati per essere recuperati o riciclati e uno “software” e in altre parole cambiando le abitudini al consumo. Importante è la politica di lotta allo spreco.

Si tratta quindi di promuovere un piano, sintonizzandosi sulla Direttiva europea 98/2008, che con il coinvolgimento degli Enti Locali, dei soggetti pubblici e privati, dia luogo alla nascita di distretti operativi sul fronte del riuso e del riciclo dei materiali, sostenuti anche da una forte azione di acquisti verdi delle amministrazioni pubbliche e delle imprese

E’ indispensabile rendere il più possibile produttivo il sistema impiantistico che abbiamo.

Un sistema che garantisca scientificità e trasparenza (a questo proposito è fondamentale il mantenimento e aggiornamento del progetto Moniter).

La gestione dei rifiuti deve da prima darsi obiettivo discarica zero e poi andare oltre all’incenerimento. E’ per il futuro indispensabile programmare una società di prevenzione e recupero. Gli Ecodem  condividono buona parte della proposta di legge  regionale , che dovrà essere ripresentata, che mira a produrre meno rifiuti, applicare la fiscalità ambientale , incentivare la raccolta di qualità, applicare la tariffazione puntuale. E’ necessario proseguire con l’Approvazione del Piano regionale che si integra con la proposta suddetta.

 

3) Il Po

Un’altra grande questione è quella del Po, inteso come bacino padano con tutte le criticità e opportunità del caso. La regione Emilia Romagna deve essere alla testa di una “battaglia politica” nei confronti del Governo per riprendere il progetto Valle Po anche attraverso il sistema dei Contratti di Fiume. L’impegno prioritario deve essere quello di un grande Parco interregionale o nazionale.

 

4) L’Appennino

E’ auspicabile introdurre a livello regionale norme e misure che consentano al sistema pubblico “locale” di avere maggiori benefici dallo sviluppo delle rinnovabili per evitare solo una “colonizzazione” energetica del territorio. Vanno sostenute le imprese agricole multifunzionali capaci di:

– produzioni con identità

– produzione energia rinnovabile e paesaggio

– commercializzazione prodotto e territorio

 

5) Il dissesto idrogeologico

Una grande attenzione va posta nei confronti del fenomeno del dissesto idrogeologico. Interventi di manutenzione del territorio sono indispensabili per mettere in sicurezza le zone più a rischio e per attivare lavori pubblici  e privati dedicati. La politica della Regione non può che essere collegata a quelle da realizzare all’interno del Bacino del Po. Il patto di stabilità anche in questo caso limita fortemente la capacità di intervenire della Regione. Occorre implementare tutte quelle attivitàdi prevenzione legate alla gestione del territorio ed alla preparazione della cittadinanza alle emergenze; quindi pulizia delle golene e degli argini e loro costante controllo, manutenzione della rete idrica secondaria del territori (pulizia e quote dei fossi, pulizia e controllo delle fogne e delle reti delle acque bianche tombate, pulizia delle caditoie, ecc.) e contemporaneamente le attività di formazione della protezione civile (informazione alla cittadinanza dei piani di protezione civile e delle norme comportamentali da adottare nelle situazioni di pericolo, esercitazioni, attività di formazione nelle scuole, … …).

Sono in corso interessanti approfondimenti per la gestione integrata delle aree golenali tramite il “contratto di fiume”, che può raccordare i diversi enti coinvolti e diversi attori privati, sotto la regia del comune o dell’Unione locale, mettendo assieme valorizzazione turistica, opportunità di ricavare combustibile (esempio cippato) dalle attività di pulizia, al fine di superare la situazione di stallo relativa alla pulizia del fiume dovuta alla mancanza di risorse dedicate.

 

 

6) Urbanistica e mobilità

Per la parte urbanistica e la mobilità numerose sono le azioni da mettere in atto per evitare consumo ulteriore di suolo, particolarmente elevato nella nostra Regione.

Definire nuovi limiti qualitativi e quantitativi all’espansione del territorio urbanizzato, (anche agendo sugli strumenti fiscali e parafiscali) e introdurre nell’ordinamento legislativo regionale il principio della compensazione ecologica preventiva (bilancio ambientale di insediamento). Va perseguita la politica del recupero dei terreni dismessi (di origine militare, industriali, ferroviarie, etc) e la riqualificazione urbanistica: non va consumato ulteriore suolo vergine. La riqualificazione dovrà essere l’occasione per creare anche nuova edilizia pubblica e edilizia a canone calmierato.

La mobilità delle persone va considerata prima della progettazione urbanistica. Bisogna incrementare la politica del ferro e del trasporto pubblico bilanciando anche gli investimenti oggi troppo indirizzati sulle infrastrutture stradali, cercando di risolvere i problemi dei lavoratori pendolari. In particolare va evitata ogni progettazione che inibisca la possibilità futura della implementazione di SFM e SFR

Aumentare la mobilità dolce e estendere le politiche di pedonalizzazione dei centri storici. Investire sull’intermodalità del trasporto merci e sul sistema elettrico urbano così come va organizzata una filiera per l’uso del biometano per la mobilità.

La bonifica dei siti contaminati deve essere un’opportunità per creare lavoro e per sviluppare innovazione.

 

7) I servizi pubblici locali

Riguardo alla gestione del ciclo idrico integrato è necessario mantenere una forte presenza del pubblico nella gestione adeguando le politiche agli esiti referendari Per quanto riguarda il servizio idrico integrato, coerentemente con lo spirito del referendum del 2011, devono essere posti completamente sotto il controllo pubblico, e non sotto quello dei gestori i seguenti aspetti: la proprietà e la strategia sull’uso della risorsa acqua, la programmazione degli investimenti, il controllo, vigilanza e monitoraggio dei soggetti gestori, l’applicazione delle tariffe, compreso il supporto alle utenze disagiate.

Per il ciclo dei rifiuti è necessario perseguire l’integrazione territoriale delle aziende di gestione pubbliche e miste, inoltre è necessario programmare in termini di ambiti sovraprovinciali. Il modello emiliano-romagnolo ha dato ottimi risultati sulla qualità del servizio per il cittadino. E’ opportuno cercare di capire come affrontare il tema della governance delle aziende e in particolare delle grandi   multi utility  chiedendo ad esse un ruolo sempre più importante sul versante energetico e dell’innovazione tecnologica e di mantenere quel rapporto con i territori che ne ha costituito il successo. In materia sempre di rifiuti è necessario coordinare la fase della regolazione del servizio con quelle della pianificazione, già affrontata al punto 2), lavorando anche attraverso la leva tariffaria per l’attuazione delle politiche di prevenzione, recupero, economia circolare, ad esempio introducendo la tariffazione puntuale. Il modello emiliano-romagnolo ha dato ottimi risultati sulla qualità del servizio per il cittadino. Oggi però diventa necessario cercare di capire come affrontare il tema della governance delle aziende e in particolare delle grandi multiutility chiedendo ad esse un ruolo sempre più importante sul versante energetico e dell’innovazione tecnologica e di mantenere quel rapporto con i territori che ne ha costituito il successo. Su questo chiediamo da subito di aprire un confronto nelle sedi dedicate.

A fronte della maggiore complessità del ruolo di regolatore regionale – in Emilia-Romagna l’agenzia Atersir – la Regione deve porsi l’obiettivo di studiare gli strumenti normativi ed amministrativi per rafforzare questo ente in tempi brevi per evitare di rendere vani gli sforzi fatti in questi anni ed affrontare in maniera adeguata le nuove sfide che vengono attribuite anche dalle più recenti norme come il decreto “sblocca Italia”.

 

8) Una nuova agricoltura al servizio di nuovi consumi

La nostra regione è tra i primissimi posti in Europa per la produzione di prodotti di qualità, da agricoltura biologica e a marchio Dop e Igp. Occorre, tuttavia, aumentare l’impegno verso un’agricoltura che possa diventare un tassello importante della green-economy, un presidio del territorio e protagonista di un processo virtuoso di formazione di filiere di qualità, capaci di offrire al consumatore maggiore sicurezza e un territorio rurale sano in cui vivere.

 

9) Rivedere la pianificazione delle trivellazioni a terra e a mare.,

Per quelle che sono le competenze della Regione. Continuare nella ricerca e monitoraggio degli effetti veri o potenziali derivati dalle esplorazioni  riguardo all’estrazione di combustibile fossile. Avviare un’analisi approfondita dei costi/benefici a livello nazionale e regionale di questa scelta energetica anche nel contesto del nuovo pacchetto europeo clima/energia 2030, che renderà disponibile questa risorsa dopo parecchi anni dall’inizio delle trivellazioni. Promuovere anche accordi (internazionali o interregionali) con le regioni adriatiche dirimpettaie che potrebbero sfruttare i giacimenti in proprio non avendo problemi di subsidenza.

Noi siamo fondamentalmente molto critici e preoccupati riguardo alla proposta del Governo nel consentire maggiori trivellazioni in Adriatico e a terra.

 

10) Più semplificazioni nei procedimenti autorizzativi e controlli più efficaci:

Rivedere la legge istitutiva di Arpa licenziata nel 1994. Alla luce della riforma delle province pensare ad un unico ente che autorizzi e effettui le istruttorie tecniche. 

 

11) L’economia verde

E’ la strada maestra  per costruire il futuro dei nostri territori che va perseguita con costanza e coerenza. La Regione  può candidare diverse aree industriali ad ospitare nuovi impianti per avviare processi produttivi legati alla “chimica verde”. Pensiamo alle aree chimiche di Ravenna e Ferrara ma anche alla riqualificazione dei vecchi stabilimenti industriali.

 

12) I parchi e le Riserve faunistiche

Sono un valore per il territorio e la loro tutela rimane una priorità, come il loro sviluppo,l’ obbiettivo è quello di integrarli con gli Enti locali  per avviare progetti di conoscenza del territorio  e di valorizzazione del patrimonio naturalistico. “È stata avviata una riforma del sistema delle aree protette e dei Parchi nella Regione Emilia-Romagna che richiede una verifica della sua funzionalità. L’accorpamento attuato pone infatti dei rischi che vanno scongiurati nella gestione del patrimonio naturalistico ragionale, che presenta nonostante l’elevata antropizzazione un alto,livello di biodiversità.”

 

13)  La Cultura ambientale

Questa passa attraverso un lavoro educativo sulle nuove generazioni, quindi in sinergia alle Istituzioni scolastiche bisogna introdurre l’Educazione Ambientale e la lotta allo spreco nei percorsi scolastici. Incoraggiare l’elaborazione e finalizzazione di una Strategia Regionale di Adattamento agli impatti dei Cambiamenti Climatici e allinearla in maniera efficace alla recente Strategia Europea di Adattamento (aprile 2013) e alla recente Strategia Nazionale di Adattamento in via di adozione in questi mesi della Presidenza Italiana del Consiglio dell’Unione Europea. Questa Strategia Regionale con il supporto di un efficace uso dei fondi strutturali può essere la base per un Piano di Attuazione Regionale di Adattamento sulle criticità della Emilia Romagna rispetto ai cambiamenti climatici: risorse idriche, agricoltura, dissesto idro-geologico, aree costiere, turismo.

Infine si ritiene importante sostenere la adozione da parte dei comuni della regione del recente Patto dei Sindaci sull’Adattamento “Mayors Adapt” promosso dalla Commissione Europea quest’anno.

 

 

Condividi: