Polveri fini sulla Pianura Padana
Quelle nuvole di smog che soffocano la Pianura
Quella che state vedendo a fianco dell’articolo è una immagine dal satellite della Pianura Padana, luogo geografico realmente esistente da non confondere con la fantasia storico-politica di Bossi. E’ una fertilissima pianura dove la specie homo sapiens vive da millenni popolandola progressivamente fino ad aver raggiunto la rispettabile cifra di 31 milioni di abitanti. La sua conformazione orografica ne fa una scatola rettangolare chiusa fra le Alpi e gli Appennini con una unica uscita nel mare Adriatico, poco più che un canalone anch’esso senza sbocchi fino ad oltre il Gargano. Scarsamente ventilata e soggetta ad inversione termica nei momenti di alta pressione atmosferica, ogni giorno al suo interno si possono accendere fino a 15 milioni di motori di autovetture, quasi due milioni di veicoli commerciali, ed oltre due milioni di motocicli, ai quali vanno aggiunte 46 centrali termoelettriche e 30 termovalorizzatori, più gli stabilimenti industriali e, nei mesi freddi, almeno 15 milioni di caldaie domestiche o di comunità, senza dimenticare un numero non quantificabile di motori agricoli o per giardinaggio.
L’effetto complessivo è facilmente ricostruibile esaminando bene l’immagine. Quella che probabilmente avete scambiato per una lieve copertura nuvolosa, che si protende fin quasi sull’Istria e ben oltre il Conero, purtroppo non è uno strato di nuvole nell’atmosfera, sono le tristemente famose polveri fini, le PM 10 e 2,5 che infestano l’aria che respiriamo e che si cerca di contenere con i velleitari blocchi della circolazione del giovedì. E’ come vuotare il mare con il secchiello del pargoletto e, fino a quando non pioverà e verranno portate sul terreno, l’unica fonte di depurazione esistente sono gli alveoli polmonari nostri e degli animali, i vegetali riescono a captare la CO2 ma sulle polveri possono nulla. Per fortuna ciascuno di noi ne ha circa 70 mq, in tutto fanno più di 2 miliardi di mq, cioè oltre 2mila kmq, circa la superficie della provincia di Reggio Emilia, ma se ci aggiungiamo gli animali da allevamento e quelli liberi possiamo forse ipotizzare di aumentarla di 5 o 6 volte. La pratica, però, come ben sappiamo, non è affatto igienica e si trasforma in un ampio ventaglio di malattie respiratorie cronicizzanti.
Non c’è nulla da fare? Dobbiamo abituarci a respirare questa roba pena la decadenza economica? Non necessariamente, ci sono molte cose che le Regioni Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, assieme a Val d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, possono fare. Per primo darsi uno strumento di coordinamento permanente perché l’aria non conosce confini amministrativi, poi lanciare un piano di rilancio integrale e capillare del trasporto ferroviario locale, agevolare il trasporto merci su ferro e tassare quello su gomma, agevolare l’edilizia ecologica ed il recupero di quella storica, imporre standard restrittivi alle attività produttive e commerciali, infine convertire le centrali termoelettriche a nuove tecnologie. Un programma impressionante per difficoltà tecniche e finanziarie che non potrà essere sviluppato senza uno sforzo congiunto con l’U.E. che ha altre due aree paragonabili alla nostra, la valle del Reno e quella del Tamigi. Aree con le quali scambiarsi esperienze visto che hanno cominciato ad affrontare il problema prima di noi.