A proposito del collegamento fra la Stazione Centrale ed il Marconi

ffss anni 50

 

Da più parti si sta riaprendo la campagna a favore di una navetta diretta fra la Stazione Centrale ed il Marconi, people-mover o shuttle che dir si voglia, navetta che aspetta da 5 anni i fantomatici capitali privati del project financig. Ancora una volta si paragonano tempi e costi con il bus Blq ed il taxi. Ancora una volta ci si dimentica che verso l’aeroporto esistono due fasce di binari passanti, per Milano e per Verona, dove già oggi corrono 30 treni ogni 6 ore.  Leggiamo l’orario partenze da Bologna dalle 6 alle 12, partono 9 Regionali e 4 Regionali Veloci per VR e 5 Regionali, 11 Veloci e 2 Intercity per MI. In media un treno locale ogni 12 minuti passa dove avrebbe dovuto sorgere la Stazione Aeroporto, ora sospesa semicostruita, a 1200 metri dall’attuale Aerostazione e ad 800 metri dalla futura. Futura, ma non troppo, perché necessaria per evitare il declassamento dell’aeroporto,  come da prescrizioni ministeriali contenute nel parere favorevole al nuovo Master-plan, ed arrivare al tetto degli 8,5 milioni di passeggeri. Se si tiene conto che con l’implementazione dell’SFM queste frequenze verranno ancora aumentate nelle ore di punta, come già previsto nella gara d’appalto predisposta dalla Regione, pare incredibile che non si pensi di utilizzare questi mezzi per spostamenti che durerebbero meno di 6 minuti (come da orario esistente), ed azzererebbero i tempi a tutti i viaggiatori che stanno ad ovest del Marconi. Con i 30 milioni risparmiati per questa spesa irragionevole la RER potrebbe, appunto, completare la costruzione della Stazione Aeroporto di via Bencivenni a cavallo delle due linee, predisporre l’interramento della Bologna-Budrio per sostenere cadenze di un quarto d’ora e costruirvi la Stazione Sant’Orsola sul binario sud. Rimarrebbero anche almeno 10 milioni per migliorare gli accessi alle Stazioni. Le condizioni attuali della finanza locale non consigliano un uso più avveduto delle spese?

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Perché sosteniamo la candidatura di Pippo Civati Dichiarazione di Luigi Mariucci e Teresa Marzocchi Bologna 12 ottobre 2013

mariucci                                                   marzocchi 1

La fiducia al governo Letta andava votata perché in questa fase drammatica il paese ha bisogno di un governo, perchè quel voto significava anche prendere atto della evidente  sconfitta di Berlusconi e infine perché prima di tornare al voto occorre cambiare la legge elettorale.

 

Ciò non toglie che questo non sia il “nostro” governo.

Noi continuiamo a pensare che questo sia un governo motivato da uno stato di necessità e che le “larghe intese” siano in contraddizione con il programma di fondo del PD.

In quanto è accaduto non vediamo una nuova prospettiva strategica. Perciò non condividiamo l’enfasi posta su un cosiddetto “passaggio storico”,  sulla “fine del ventennio” e tanto meno l’idea che sia nata una “nuova maggioranza politica coesa”. Tutto ci pare invece molto precario, come dimostrano in questi giorni le contraddizioni apertesi su vari fronti.

Continuiamo a pensare che il PD sia nato come soggetto politico dell’alternativa nella logica del confronto bipolare tra centrodestra e centrosinistra, tra chi ritiene necessario rovesciare il paradigma neoliberista che ha portato alla crisi attuale e tornare a porre la dignità del lavoro a fondamento del patto di cittadinanza e chi vorrebbe buttare a mare i principi fondamentali della nostra costituzione. Vediamo quindi con preoccupazione le rinascenti tentazioni  neocentriste, esistenti anche nel PD. Questo a noi pare il vero tema del congresso.

Discriminante, a breve, sarà il tema della legge elettorale: il PD deve battersi per una legge elettorale che assicuri governabilità nella logica del bipolarismo maturo. Perciò va introdotto il doppio turno, di collegio o di coalizione, escludendo ogni ritorno al proporzionalismo che ci condannerebbe a un regime di “larghe intese” perenni.

Infine siamo per un partito aperto e inclusivo. Perciò ci siamo battuti per salvaguardare  la norma dello statuto che stabilisce il ricorso alle primarie per l’elezione del segretario. Non vogliamo però neppure un partito liquido, notabilare e ridotto alla somma di comitati elettorali,  ma un partito che sia luogo di senso per chi lo abita e diventi strumento di effettiva partecipazione dei suoi aderenti e simpatizzanti alla vita politica. Perciò vediamo con grande favore la sperimentazione tra gli aderenti di referendum tematici sulle scelte più controverse.

Tra le piattaforme presentate al Congresso riteniamo che le più coerenti con le nostre posizioni e con quelle contenute nel documento “Nel solco dell’Ulivo” presentato dai  “Democratici davvero” siano quelle espresse da Pippo Civati.

Non ci convincono il nuovismo dai tratti oscillanti e incogniti di Renzi,  nè gli orientamenti oggettivamente nostalgici di vecchie appartenenze che si aggregano attorno a Cuperlo. Preferiamo l’”aria libera” che aleggia attorno alla candidatura di Civati , che ci appare come una boccata d’ossigeno in un clima reso soffocante  da troppi posizionamenti tatticistici e fidelizzazioni pregiudiziali.

                                                       

 

 

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Perché sostengo Civati

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Mi sono iscritto al PCI nel 1974, a trent’anni, sospinto dalla necessità di rinforzare l’onda d’urto dei grandi referendum sui diritti civili, divorzio ed aborto, recepiti con tanta fatica dal PCI stesso. Da quell’anno a tutt’oggi ho ininterrottamente rinnovato la tessera impegnandomi attivamente a livello di base sia come politico, che come amministratore, che come commentatore sull’Unità di Bologna.  Ho apprezzato e seguito le segreterie di Berlinguer, Natta ed Occhetto, anche quando hanno commesso errori come il referendum sulla scala mobile, perché ci sono cose che vanno fatte comunque anche se la sconfitta è certa, e quando sono arrivati in ritardo come con la svolta detta “della Bolognina” perché il coraggio va, comunque, premiato. Poi è cominciata una serie di episodi incresciosi o decisioni dirigenziali incomprensibili o, per me, errate, cause di disaccordi, gravi e meno gravi, ma sempre, in fine, sopportati.

  • Il mancato quorum alla elezione di Occhetto come primo segretario del PDS nel 1991.
  • L’acquiescenza alla ridicola interpretazione parlamentare della legge sulla ineleggibilità del 1957 che dichiara che la “mera proprietà” di una concessione pubblica non ne costituisca causa nel 1994.
  • La sparizione del termine Partito dalla nuova denominazione nel 1998.
  • L’acquiescenza all’illegale monopolio televisivo privato di Berlusconi culminata nella famosa dichiarazione “Mediaset, patrimonio della nazione” fatta da D’Alema Presidente del Consiglio nel 1998.
  • La mancata indizione di elezioni politiche anticipate dopo la caduta del governo Prodi I° sostituito da D’Alema grazie ad un accordo con Cossiga.
  • La fiducia concessa ad un conclamato imprenditore illegale come Berlusconi con la Bicamerale presieduta da D’Alema.
  • Il mancato accordo con l’IdV nel 2001 che permise la vittoria di Berlusconi.
  • L’assurda regola statutaria del PD della coincidenza della figura del segretario del partito con il candidato alle elezioni politiche in modo che se le perde avremo un segretario indebolito dalla sconfitta, preda dei vari capicorrente, se le vince avremo un immediato nuovo congresso con la elezione di un avversario del nostro presidente del consiglio in carica. Così la contendibilità, che dovrebbe migliorare l’offerta, diventa conflittualità permanente, dimenticando che la prima caratteristica che cercano gli elettori in un partito è l’affidabilità. Questo, inoltre, comporta la elezione del segretario di una organizzazione da parte di non membri della organizzazione stessa il ché, ovviamente, disincentiva dalla partecipazione politica i membri stessi.
  • La dichiarazione, quantomeno intempestiva, di Veltroni sulla “vocazione maggioritaria” che diede a Mastella l’occasione per togliere la fiducia al governo Prodi II°.
  • Le incoerenti dimissioni dello stesso Veltroni dopo il risultato a due facce  delle politiche del 2008 dimentico della lezione di Mitterand, che superò due gravi sconfitte prima di vedere trionfare le sue idee per ben due settennati.
  • La incerta partecipazione al referendum sull’acqua del 2011 nel quale i 24,5 milioni di sì hanno evidenziato un formidabile potenziale di elettori successivamente snobbati ed abbandonati all’astensionismo ed alle incursioni del movimento 5stelle.
  • L’eccessiva acquiescenza concessa alle politiche ed alla durata del governo Monti che ci ha fatti identificare come gli unici sostenitori dei tagli alle classi medio-basse mentre il PdL era l’alfiere delle intoccabili classi possidenti.
  • La gestione del risultato elettorale delle politiche di quest’anno dove si è evitato di constatare materialmente, con una votazione al Senato, la possibile esistenza di una maggioranza favorevole ad un governo Bersani pur dopo la positiva prova della elezione di Grasso con i voti di alcuni 5stelle.
  • La gestione delle candidature a Presidente della Repubblica,                                                             – con la presentazione di Marini senza nessuna consultazione degli alleati di lista di SeL e con un preaccordo con il PdL, malgrado il parere contrario di molti nostri deputati. Candidatura che per il metodo, non per la persona, ha procurato una enorme ondata di protesta in tutta la base,                                                                                                                                       – con il frettoloso ritiro immediato dopo la prima votazione della candidatura di Prodi ignorando inspiegabilmente o, colpevolmente, gli autorevoli precedenti di Pertini e di Scalfaro: 16 scrutini, per non voler andare a Saragat e Leone,                                                                                       – col diniego alla candidatura di Rodotà, deputato Indipendente di Sinistra per tre legislature, presidente del Consiglio Nazionale del PdS, Garante nazionale della Privacy e Presidente del Gruppo Europeo dei Garanti, solamente perché presentata dei 5stelle,                                                                                                 – con la mancata presa in considerazione di altre candidature eccellenti quali ad es. Onida, Zagrebelski, Carlassare ed altri.
  •  L’ambiguità nella formazione del governo Letta, per alcuni a termine stretto per legge elettorale e legge di stabilità 2014, per altri a fine semestre di presidenza europea, per altri ancora, specie dopo il dietrofront di Berlusconi, di tutto mandato. Anche in questo caso il messaggio che arriva agli elettori è di confusione e inaffidabilità.

Ora si è aperta la stagione del III° congresso del PD gratificato dell’appellativo di “muro di gomma” da Barca dopo il viaggio di 5 mesi all’interno dei “circoli” mentre i dirigenti sono dallo stesso appellati “capobastone”, e da qui si capisce la ragione della sua mancata candidatura. Più gentilmente io li definirei dei “gattopardetti”  pronti a tutto pur di non rischiare quel briciolo di potere personale che hanno conquistato. Penso di non poter essere smentito se dichiaro che il PD o riprenderà il cammino iniziato al Lingotto e congelato dalle dimissioni di Veltroni o si trasformerà in una formazione populistica a direzione personalizzata.

Dei candidati alla segreteria l’unico che ha cercato di contrastare, praticamente in solitudine, e con atti concreti, la deriva descritta è Giuseppe Civati, per questo ho deciso di appoggiarlo e di proporre di appoggiarlo a tutti coloro che ho conosciuto in questi 40 anni.

 

 

Paolo Serra                             www.bolognaragionevole.org

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Il PD al trivio

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Che il partito nato dalla confluenza tra il PDS e la Margherita non goda di buona salute credo non possa essere smentito da alcuno. La gracile creatura nata al Lingotto, che ha da poco compiuto i sei anni, ha cessato lo sviluppo ad appena due con le dimissioni del suo primo segretario e si è trasformata in una confederazione di capetticorrente più o meno gattopardeschi del tutto distaccata dalla base e dalla realtà. Lo dimostrano alla perfezione la sufficienza con la quale sono stati trattati i 24,5 milioni di potenziali elettori che votarono sì al referendum sull’acqua, il dissanguamento dell’eccessivo prolungarsi del governo Monti e la reazione degli iscritti al metodo, non alla persona, col quale si è decisa la candidatura Marini. Ora tre medici si propongono al suo capezzale ciascuno con la sua ricetta. Matteo Renzi dice che, se le cose non vanno bisogna metterle in mano ad un grande innovatore, lui stesso. Non risulta, però, che dove ha amministrato la cosa pubblica abbia portato alcuna innovazione, come dimostrano i casi Florence Multimedia, la sanzione della Corte dei Conti, le assunzioni di fidi senza concorso, le dimissioni dell’assessore al bilancio causa gravi divergenze sull’uso del danaro pubblico, il prepensionamento di dirigenti riassunti poi a contratto. Il fatto che piaccia tanto ai mass media è inspiegabile, o, forse, anche troppo spiegabile. Gianni Cuperlo, al contrario, dice che occorre allargare la democrazia interna e la base della platea che forme le decisioni. La cosa, peraltro, è già largamente prevista dallo statuto ma mai è stata applicata per il veto dei capetti. Ma se non si indagano e si rimuovono le cause delle disfunzioni è inutile fare appello ai buoni proponimenti, quelle cause riproporranno inevitabilmente gli stessi effetti. Cuperlo, al di là delle sue eccellenti doti personali, appare prigioniero di questa contraddizione, come i continui endorsement dei capetti lasciano facilmente intendere, inoltre non risultano sue prese di posizione sui micidiali errori di cui sopra. Resta Pippo Civati, under 40, un bambino per gli usi e costumi politici di casa nostra. Eppure il bimbo ha dimostrato lungimiranza, coraggio e coerenza, dichiarandosi contrario ad un governo Monti di legislatura, alle candidature alla presidenza della Repubblica presentate senza neppure avvisare gli alleati di lista, al tentativo di far passare il governo Letta, di scopo e a termine, per il governo delle grandi intese. Civati è anche l’unico che ha come obiettivo di ricostituire un rapporto di fiducia con Romano Prodi dopo il vile comportamento dei 101 di cui nessuno degli altri parla più per non perderne l’appoggio. Basta ed avanza per fare la scelta giusta, d’altronde solo il sangue giovane porta bene l’ossigeno a tutto il corpo….

Paolo Serra  –  Bologna

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